lunedì 21 marzo 2011

Ristorante Tirabusciò a Bibbiena

BIBBIENA - Scoprire un neologismo è come scoprire un piatto nuovo o un vino sconosciuto ai più o un paese mai visto prima o un passo non ancora letto o un sorriso, un seno, un amore mai svelati. Giorno di festa. Una prof è coi suoi studenti a provare Shakespeare in un teatrino di paese. A un certo punto intima al classico tipo dell'adolescente dondolone di non "appandarsi".

Romeo e Giulietta non è tragedia in cui ci si appanda o ci si approciona e nemmeno la cucina lo è. Il suo bello nella provincia italiana è che i cuochi devono trovare un compromesso tra la vena creativa e la famiglia a far la mangiata. Sennò diventa una tragedia.


In questo compromesso si trovano tante eccellenze come nel suo piccolo quella del Tirabusciò di Bibbiena dove qualche giorno fa ho mangiato i "ravioli di nero al nero": raviolini quadrati e gonfi come quelli chiusi appena prima di andare in pentola, ripieni di Nero di Chianina (il trito di fegati del macellaio Fracassi) e conditi con burro e tartufo nero.

Alberto degl'Innocenti su certi piatti tocca lasciarlo stare, perché questa pasta un po' grossolana come la fanno da queste parti vale il viaggio anche se sulla Consuma ha piovuto sempre, a Omomorto c'era pure la nebbia e nella piana di Campaldino ci sono più autovelox che fanti ai tempi di Dante.


Anche le trippe di baccalà erano ottime (ma non c'avrei messo la pancetta di Grigio del Casentino). E la carta dei vini quassù ha un rapporto qualità prezzo inviadiabile e delle belle referenze non solo toscane. Per due piatti e un dolce si spendono 25 euro.

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