martedì 17 maggio 2016

Guyot e botte grande, Frescobaldi ritrova la tradizione


I fiorentini, perfidi benché senza la fama d'avarizia dei lucchesi, lo ribattezzarono "monte di sordi" anziché Montesodi. Dalla prima annata, nel 1974, quando nella vetrina della Vera a Borgo San Jacopo, costava 12mila lire. È lo stesso marchese Lamberto Frescobaldi a ironizzare, ben sapendo che prezzare i grandi vini è oggi più di ieri obiettivo cruciale (non solo degli esperti di marketing).

Un monte di soldi, se si pensa che il Castello di Nipozzano si stappava per sole 1.200 lire. Montesodi era solo sangiovese, affinato in botte grande, scarico di colore e asciutto come si diceva allora. È rimasto così, sottile, ma ottimo. E oggi, dopo anni di esplorazioni su stili diversi, Frescobaldi riscopre la tradizione, sia in vigna sia in cantina. Con due ingredienti principali: il Guyot e la botte grande. 


Ieri a Milano il marchese ha guidato una degustazione, definita circolare da molti dei presenti. Né orizzontale (vini diversi della stessa annata), né verticale (lo stesso vino in annate diverse) anche se teoricamente proprio di una verticale si trattava. Ma ciò che è emerso da subito è stato l'andamento circolare del Montesodi dal 1974 al 2010. 

La concentrazione e la dolcezza del legno piccolo delle barrique hanno giovato a grandi annate come la 1990 (beneficiata anche dal cabernet sauvignon) eccedendo poi in peso e bevibilità nella 2000 (tannini secchi) e nella 2004 (note surmature di mirtillo). Era l'epoca dei salassi, presunto strumento di maggiore tipicità ("tanto si toglie acqua" si diceva). Per tornare a maggior equilibrio dal 2006 (grande pienezza e maturità fenolica) al 2012 (old style appunto, scarico, botte grande etc...). 


Sulle stesse colline della linea Maginot della Seconda Guerra, si ritira una nuova linea di demarcazione tra ciò che è tradizione e cosa non lo è. In vigna, Frescobaldi torna al Guyot abbandonando il cordone speronato. Una scelta che con grappoli più spargoli consente maturazioni migliori delle uve. E si concentra solo sul sangiovese. 

In cantina invece spariscono i salassi e le barrique, lasciando spazio alle botti grandi. Il risultato, a Nipozzano, nella tenuta senza pozzo, storicamente senza acqua, ideale per la vite, eredità di un matrimonio con gli Albizi poi estinti, è quello di un sangiovese che ritrova il floreale, i piccoli frutti rossi, tannini più levigati, estrazioni più aggraziate e crediamo, con questo maggiore equilibrio, la stessa longevità di un tempo. 

Per "andare dritti" ha detto Lamberto Frescobaldi usando una metafora velica, bisogna guardare spesso indietro. E in questo caso - aggiungo io - correggere la rotta che tirava verso le sirene degli Anni Novanta (oggi tutte convertite ovvio) servirà a recuperare una piena espressione di quel terroir da clima fresco, fine e leggero, che è la Rufina. 


Nessun commento:

Posta un commento