Gli snob, scriveva Proust nella sua Ricerca, rinunciano ad avere gusto. Rinunciano a farsi un'impressione su qualcosa del quale restano prevenuti. Io stesso sul momento non ho preferito a un runner l'assenza di attovagliamento delle Calandre dopo la rivoluzione nell'arredamento del tristellato dei fratelli Alajmo.
Poi ci ho rimuginato e ho pensato anche che la mia commensale forse non mi avrebbe raccontato che Venezia con l'acqua alta è bellissima, se il vino rosso, un'atmosfera friendly-business e appunto un locale meno d'etichetta non avesse disteso la conversazione.
Antipasti in piedi, il mitico cappuccino di seppie o il wafer di gamberi, accompagnati da uno Champagne Veuve Fourny (la couveé R) chardonnay con un soupçon, un sospetto come dicono i francesi, di pinot nero. L'etichetta elegante coi caratteri stile Nicolas Feuillatte, di equilibro e opulenza, potrebbe essere presto importata in Italia proprio dai Cecchi.
E la cucina di Massimiliano Alajmo in punta di... mani. Per la carne cruda al tartufo bianco con una senape chiara, con le fettine di trifole abbastanza grandi da avvolgere la tartara senza toccarla. E soprattutto senza ossidare nemmeno impercettibilmente con il metallo delle posate il piatto.
Un brodo di porcini neri (boletus aerus, li ho visti in cucina), con delle tagliatelle di soia che gli conferivano una sfumatura orientaleggiante e il croccante come le palline di pane che andavano di moda negli anni Ottanta. Si diverte in cucina lo chef. Il suo risotto era quasi impercettibilmente cedevole rispetto alla sua perfezione, ma eravano circa 40 persone. (Nell'ultima foto da sx Cesare Cecchi, Luca Stortolani, Massimiliano Alajmo, Antonio Santini, Giulia Dirindelli).







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