PERUGIA - L'assenza dell'Umbria al prossimo congresso italiano dell'alta cucina "Identità golose", a Milano da domenica per tre giorni, nasconde una notizia buona e una notizia cattiva.
Stavo scorrendo il programma del congresso del quale sarò ospite da domenica e ho notato presenze di valore, seppur non di volume come quelle del nord, per i cuochi del Centro Italia. Paolo Lopriore della Certosa di Siena su tutti, Marco Stabile dell'Ora d'Aria di Firenze o Loretta Fanella, la giovanissima pasticcera che lavorava con Ferran Adrià. Neanche un cuoco umbro (tantomeno un pasticcere).
Ovviamente non è una critica agli organizzatori che anzi ogni anno riescono a riunire i migliori chef italiani e stranieri del momento, così si spiega anche la crescita continua di un appuntamento giunto alla sua settima edizione. Ma vuol essere una riflessione sulla gastronomia umbra.
L'assenza dell'Umbria denota secondo me una cucina più "naturale" che "alta". Più basata sulle materie prime che sulla trasformazione. Più coerente con la mangiata in osteria che con un cuoco col microfono sul palco. Più seduta sulla propria fortuna che bisognosa d'imbellettarsi. E quella della ricchezza di verdure (il sedano nero di Trevi, la risina del Trasimeno, le lenticchie di Castelluccio), di carni di qualità (la tradizione di oca nel sud della regione e di maiale nel resto, la Chianina) e di vini schietti, è la buona notizia.
La cattiva notizia è che su questa ricchezza ci si è crogiolati troppo. Beandosi di questa sindrome da "vino del contadino" si è rallentato uno sviluppo enogastronomico che solo la lungimiranza di pochi produttori di vino (il Cavalier Lungarotti o Marco Caprai) e un ristoratore (Gianfranco Vissani) hanno saputo superare (senza necessariamente tradirla).
Piaccia o meno, è l'alta cucina che rinnova e rilancia la gastronomia. Oggi è uscito un importante studio che lo conferma. Condotto da un gruppo coordinato da Vincenzo Fogliano, docente ad Agraria dell’università Federico II di Napoli anche se riferito in particolare alla Campania, sostiene che "dai grandi chef arrivano gli impulsi alla filiera agroalimentare".
Occorrono idee, creatività, personaggi. E non mi riferisco alla cucina molecolare, intendiamoci. Una cuoca come Luisa Scolastra di Villa Roncalli, terrebbe il pubblico di Identità golose inchiodato ad ascoltarla proprio come i Saporito della Leggenda dei frati (SI) quando portarono l'insaccatrice ad Adria Cooking in mezzo a sifoni e rooner.
Per fare questo occorre un confronto serrato e aperto. In Umbria invece scrivere di ristoranti significa scriverne bene. La critica, motivata, elegante, costruttiva, è sempre una critica. E a criticare sono i nemici. Oggi però si respira un'aria diversa in alcuni ambienti più dinamici dell'enogastronomia locale. Tra i professionisti meno provinciali prevale decisamente la convizione che il confronto aperto sia costruttivo. Diamogli respiro.
Finalmente qualcuno che scrive quello che pensa. Io sono convinto che chi mi critica, nel lavoro come nella vita, mi vuole bene. E chi mi lascia sbagliare, se ne fotte. AB
RispondiEliminaLeggo con piacere questo post molto che fa un reale quadro della situazione umbra attuale. Spero che presto, anche con il vostro aiuto, si possano fare dei grandi passi cercando di poter unire le nostre forze confrontandosi e creando tra noi cuochi una bella sinergia. I primi passi sono stati fatti grazie all'associazione Umbria Golosa, noi crediamo in questo progetto e speriamo che sia il trampolino di lancio per la ristorazione umbra.
RispondiEliminaPaolo Trippini